Moda e sostenibilità. Tutto quello che c’è da sapere sul nuovo modo di concepire l’industria dell’abbigliamento, dall’impatto socio-ambientale alle certificazioni.

Si parla ormai da molti anni della salvaguardia del Pianeta e della tutela delle persone, ma oggi più che mai, è doveroso applicare questi concetti anche alla moda, seconda industria più inquinante al mondo. Trasformandola in un settore più sostenibile che include tanto i principi della moda ecosostenibile quanto quelli della moda etica.

Moda sostenibile, ecosostenibile ed etica.

Queste tre definizioni vengono spesso utilizzate in maniera inappropriata a causa di criteri molto simili presenti all’interno della filiera, tuttavia una differenza esiste. La moda sostenibile mira a instaurare un rapporto armonioso sia con l’ambiente che con le persone: nel primo caso prende spunto dalla moda ecosostenibile e nel secondo dalla moda etica. Ma quali sono le pratiche dell’una e dell’altra racchiuse nel concetto di moda sostenibile?

Eliminazione delle sostanze tossiche

Per ridurre l’impatto ambientale della tradizionale industria della moda, si sta dimostrando molto utile l’impegno di alcune associazioni ambientaliste. Per esempio, la lotta di Greenpeace contro le pratiche impattanti del settore tessile e dell’abbigliamento è iniziata nel 2011 con l’iniziativa “Panni Sporchi”, quando nelle acque reflue delle fabbriche in Cina si scoprì la presenza di alcune sostanze tossiche particolarmente nocive per l’ambiente e le persone. I gruppi di sostanze incriminate, tutt’oggi utilizzate da molti stabilimenti, furono esattamente undici, ovvero alchilfenoli, ftalati, ritardanti di fiamma bromurati e clorurati, coloranti azoici, composti organici stannici, composti perfluoroclorurati, clorobenzeni, solventi clorurati, clorofenoli, paraffine clorurate a catena corta e metalli pesanti come cadmio, piombo, mercurio e cromo VI.

Si tratta di sostanze non biodegradabili che, quindi, con il lavaggio degli abiti, vanno ad accumularsi nelle acque reflue provocando un danno ambientale notevole. E come ha spiegato la Global head of chemistry di UL (azienda specializzata in sicurezza dell’ambiente e del lavoro), Anne Bonhoff, durante un summit di sensibilizzazione rivolto al settore moda, “il problema non rimane isolato esclusivamente alla filiera, ma interessa anche il consumatore che inconsapevolmente continua a inquinare l’ambiente”.

Un altro fattore di rischio determinato dall’impiego di queste sostanze è il bioaccumulo, ovvero quel processo attraverso il quale si agglomerano sulla pelle causando l’insorgere di gravi patologie. Esiste, infatti, una legislazione a livello europeo che ne limita rigidamente l’uso in quanto alcune di queste sono potenzialmente cancerogene o, comunque, agiscono sul sistema ormonale modificandolo geneticamente. Andando a interferire, quindi, con il regolare sviluppo sessuale degli organismi che ne sono venuti a contatto direttamente.

Nel 2015, Greenpeace ha organizzato un fashion show di protesta contro gli stabilimenti produttivi che continuano a inquinare la Terra © Romeo Gacad/Getty Images

Detox e Zero Discharge of Hazardous Chemicals (ZDHC) sono due programmi che, ponendosi da guide per le aziende, si prefissano come obiettivo finale l’eliminazione totale di queste sostanze dalla produzione entro il 2020. E in particolare, ZDHC ha creato un registro online dove vengono raccolti tutti i risultati delle analisi delle acque reflue provenienti da diversi stabilimenti e paragonati con dei dati guida, in maniera da educare tutta la filiera tessile, dai fornitori ai produttori, a una maggiore trasparenza.

I brand che producono abbigliamento sostenibile

Grazie al contributo di Greenpeace con la sua campagna Detox, oggi molti marchi e stabilimenti produttivi hanno deciso di aderire a questa visione rivoluzionaria: Benetton, Zara, H&M, Nike, Puma, Mango, Levi’s, Adidas, Valentino e il distretto tessile di Prato sono solo alcuni dei protagonisti internazionali dell’industria dell’abbigliamento che stanno intraprendendo un percorso aziendale volto alla sostenibilità.

In Italia esistono anche molte realtà che, nel loro piccolo, cercano di attuare in maniera responsabile sensibilizzando i consumatori sull’importanza di acquistare abiti non impattanti. Si tratta di piccole e medie aziende di abbigliamento ecosostenibile che investono nella ricerca di nuovi tessuti naturali dalle alte prestazioni tecnologiche, riducono le emissioni di CO2 e l’impiego di acqua durante il processo di produzione, ricorrono all’uso di un’energia pulita e verificano direttamente la buona condotta dei fornitori. Assicurando la totale qualità e affidabilità dei prodotti.

Moda sostenibile ed etica

Quando parliamo di moda sostenibile ed etica non possiamo trascurare le tematiche legate alle pessime condizioni di lavoro a cui vengono sottoposti i dipendenti delle fabbriche produttive in alcune zone del mondo. La sostenibilità, in questo senso, è diventato un tema importante all’inizio degli anni ’90 quando, per la prima volta, si scoprì lo sfruttamento dei lavoratori da parte di alcuni importanti marchi di moda. Per citare qualche esempio, nel 1992 Levi’s fu accusata di non pagare in maniera adeguata i propri dipendenti; nel 1996, toccò a Nike che, nonostante la sua campagna contro il lavoro minorile, si serviva proprio di minori per realizzare alcuni suoi prodotti; e nel 1998 finì nell’occhio del ciclone anche Adidas, accusata di sottoporre i prigionieri politici in Cina ai lavori forzati in cambio di un’esigua somma di denaro. Questi sono solo alcuni degli avvenimenti, la lista è ancora lunga se si considerano gli scandali che sono seguiti alla nascita del fenomeno della fast fashion, ovvero quella moda in cui la produzione avviene più velocemente e al minor costo possibile in modo da cavalcare l’onda delle tendenze del momento.


Nike fu denunciata in seguito alla pubblicazione di una foto che ritraeva un bambino pakistano mentre cuciva un pallone FIFA © Zakir Hossain Chowdhury/Getty Images

Per garantire una moda più responsabile, anche in questo caso, è richiesta una certa trasparenza da parte delle aziende, facilmente perseguibile con delle ispezioni condotte dai marchi stessi col fine di verificare le condizioni di lavoro nei loro centri produttivi. E, inoltre, fornendo ai consumatori tutte le informazioni riguardanti il prodotto finito attraverso la comunicazione online e apposite etichette.

La moda per il sociale

La particolare attenzione alle condizioni di lavoro degli operai negli stabilimenti di produzione dei grandi marchi è soltanto uno degli aspetti etici di questa nuova moda. Altrettanto importanti sono anche le collaborazioni con progetti umanitari che mirano a incentivare lo sviluppo economico di alcune comunità situate in zone del mondo sottosviluppate.

A tal proposito, un esempio calzante è quello del neo marchio di moda sostenibile Iluut che fornisce gli avanzi di tessuto della produzione alle donne marocchine dell’organizzazione Carpet of life dando loro la possibilità di realizzare tappeti berberi venduti a prezzi equi.

Certificazioni per la moda sostenibile

A confermare la provenienza e la natura dei materiali impiegati per l’abbigliamento sostenibile, esistono anche delle certificazioni rilasciate da entità locali o internazionali che garantiscono ai consumatori l’acquisto di prodotti realizzati nel totale rispetto degli standard di sostenibilità ambientale e sociale.

L’abbigliamento certificato è quello di cui si è verificata la sostenibilità ambientale e sociale del processo produttivo

Certificazione Gots, Global organic textile standard

La Global organic textile standard (Gots) è leader mondiale nella definizione dei criteri ambientali e sociali che devono guidare la produzione e la lavorazione delle fibre organiche, dalla raccolta all’etichettatura del prodotto finito. Sviluppata da una serie di organizzazioni operanti nell’agricoltura biologica, la Gots controlla ogni minimo anello della filiera tessile con l’intento di verificare la totale assenza di sostanze chimiche non conformi ai requisiti base sulla tossicità e sulla biodegradibilità.

Certificazione Ocs, organic content standard

Promosso dall’associazione Textile exchange, che si occupa di individuare e condividere realtà meritevoli all’interno dell’industria tessile e dell’abbigliamento, il certificato Organic content standard (Ocs) è una garanzia per i consumatori che intendono acquistare capi fatti con materie prime di natura organica. Si tratta di una validazione del contenuto dichiarato dalle aziende di moda produttrici in merito alla provenienza delle fibre naturali da agricoltura biologica e alla loro tracciabilità lungo tutto il processo produttivo.

Certificazione Grs, Global recycle standard

Global recycle standard (Grs) è una certificazione che viene applicata non solo ai prodotti ma anche alle aziende produttrici che utilizzano materiali riciclati all’interno delle loro creazioni. Il certificato, sviluppato dall’ente Textile exchange e gestito in Italia da Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale), ha infatti il compito di dimostrare che i materiali dichiarati cento per cento riciclati siano stati effettivamente ottenuti da scarti lavorati attraverso processi ecologici.

Certificazione Fsc, Forest stewardship council

Specifico per il settore forestale e per i prodotti derivati dalle foreste, legnosi e non, il certificato rilasciato dal Forest stewardship council (Fsc) attesta che la materia prima impiegata nel capo d’abbigliamento proviene da foreste gestite in maniera responsabile nel totale rispetto dei lavoratori, degli abitanti e del territorio.

Il futuro della moda è la sostenibilità

In molti sono ormai convinti che tutto il mondo della moda debba sottoporsi a un processo di cambiamento volto alla tutela delle persone e dell’ambiente. E a dimostrarlo è anche Carlo Capasa (presidente della Camera nazionale della moda) che, durante un’intervista rilasciata prima dell’incontro “Crafting the Future of Fashion”, tenutosi a Milano il 21 giugno 2016, ha affermato: “Parliamo del futuro della moda, ovvero di quello che immaginiamo per le prossime generazioni, i nuovi marchi e i designer emergenti, e di sostenibilità come parte integrante del futuro”.

Tratto da LIFEGATE.it